Riflessologia? Perchè sceglierla
18/09/2019La mia intervista a LiveSocial su Radio Veronica One
18/10/2019Teresa
Nella stalla c’erano due vacche: Margherita e Clementina, un toro da monta, quattro pecore e due capre. Tutt’attorno era un vociare di animali da cortile. Il cane da guardia era legato alla catena. Di fronte a lui una ciotola di acqua sporca ed una di pane secco bagnato nel latte andato a male.
Mentre Parin finiva di mungere le vacche aveva gettato uno sguardo alla finestra del primo piano, quella della camera da letto ed aveva ascoltato i rumori provenienti dalla casa, poi si era deciso ed aveva bofonchiato al fratello di andare fino dalla Teresa.
Le doglie erano cominciate la mattina verso le sei, ma Parin aveva pensato che quelle cose andavano sempre alla lunga, così aveva mandato a chiamare la levatrice solo all’ora del vespro. Teresa non c’era, allora Giuseppe si era riparato dal freddo nel fienile dove aveva finito coll’addormentarsi. Quando si era svegliato era già notte e la Teresa si stava preparando la cena. Poche parole, la donna si era avvolta nel mantello nero, aveva calzato gli stivali da pesca e si era calata fin sugli occhi un vecchio cappello di panno amaranto. Poi erano saliti assieme sul calesse per raggiungerela casa dei “Murupist”*. La moglie di Parin era subito uscita di casa per aprire il cancello. Il calesse si era fermato nel centro del cortile di fianco alla pompa per tirare l’acqua del pozzo.
Teresa aveva alzato gli occhi fino al primo piano, alla ricerca dell’unica finestra illuminata fiocamente. I vetri della stanza da letto erano gelati. La partoriente aveva incisi sul volto color del latte, i segni della sofferenza: lo sguardo assente, le labbra tirate, le occhiaie livide, un tremore diffuso. Non si era nemmeno accorta della presenza della levatrice. Teresa si lasciò scappare quelle imprecazioni che inducevano le brave donne a farsi il segno della croce al suo passaggio. Poi ordinò che la puerpera fosse portata al caldo nella stalla. Giuseppe preparò un letto di paglia, felice di quel nuovo gioco, col riso ebete dei dementi stampato sul viso invecchiato dal tempo. Teresa fece uscire tutti tranne la moglie di Parin. La ragazza finalmente riprese colore sulle guance. Si voltò verso la donna e le sorrise. I loro occhi si incrociarono per qualche secondo. Per Matilde era il primo figlio, per Teresa l’ennesimo bambino. Le mani si intrecciarono in un patto di solidarietà e fiducia. Allora Teresa sospirò. Sollevò la testa di Matilde per adagiarla questa volta sopra al suo mantello ripiegato. Le contrazioni erano frequenti. Matilde col volto rigato dalle lacrime accelerava e tratteneva il respiro sotto la guida di quella nuova amica. Piangeva, per quel figlio che nemmeno voleva, da quell’uomo così vecchio, così autoritario, così brutto, che aveva conosciuto solamente tre mesi prima del giorno delle nozze. Un amico di Parin venuto da Torino, dove aveva fatto un po’ fortuna col commercio dei pomodori. Matilde pregava che il bambino non fosse come lui. La moglie di Parin pregava che tutto finisse presto per quella figlia bambina che non capiva la fortuna di aver sposato un uomo ricco. Teresa pregava che quella creatura potesse diventare un compagno di giochi per quella bimba dalla vita rovinata. Una contrazione più forte stremò Matilde che prese ad urlare. Teresa le assestò uno schiaffo. Da una borsa tirò fuori degli arnesi scintillanti e li immerse nell’acqua bollente. Il bambino era girato, per quello non voleva saperne di uscire. Fuori Giuseppe correva attorno al calesse per allontanare da sé la paura di quel momento. Parin ed il genero seduti di fronte alla stufa parlavano e bevevano. Un vagito di neonato li ricondusse fuori. Teresa si chinò su Matilde “è un maschio per fortuna” le disse. La ragazza stringendo al seno il figlio cercò rifugio nel petto della levatrice. Teresa le carezzò la testa scuotendo la sua. Poi bestemmiò. Si rivestì ed uscì dalla stalla. Incrociò i due uomini, ma voltò la testa dall’altra parte proprio mentre Parin stava per ringraziarla. Quindi si rivolse a Giuseppe che continuava a saltellarle attorno spaventato chiedendo ” È arrivato? È arrivato? È arrivato? È arrivato?”
“Sì Giuseppe, è nato. Ora hai un altro padrone”
Teresa o la rabbia
* “Murupist” = muro pestato
Voglio svelare l’origine del soprannome “Murupist” che ho regalato alla famiglia della quale ho raccontato un episodio di vita. Ho trascorso la mia infanzia ed adolescenza, durante i mesi estivi in campagna, a Trinità. Questo paese della provincia di Cuneo mi ha offerto tanti spunti di riflessione e mi ha visto crescere e fare tante esperienze. Anche quella di incontrare vecchi signori seduti nella piazza del paese che si divertivano a fare scherzi ai più ingenui di noi bimbi. Capitò un giorno di sentir chiedere da parte di un anziano ad un mio amichetto molto gentile quanto credulone di andare in farmacia a comprargli un etto di “murupist”. Il bimbo corse in Farmacia e ne uscì tutto immusonito. Il “murupist” non esisteva se non come “mattone pestato”. Il farmacista per rincuorare il malcapitato gli aveva regalato alcune caramelle ed un cioccolatino purgativo… indovinate a chi lo diede il mio amichetto…😀
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