Giulia
24/10/2019A chi è utile il counseling?
03/06/2020Il Counseling, questo sconosciuto
Integrare le proprie difficoltà con il counseling: l’errore diventa punto di forza
Da dove arriva la parola Counseling
Quando mi incuriosisce una parola di cui voglio approfondire il significato vado alla ricerca di una definizione e dell’etimologia. Da lì parto come per un lungo viaggio e la esploro.
Il counselor è quella figura professionale che attraverso le proprie conoscenze e competenze è in grado di favorire la soluzione da parte del cliente ad un quesito che crea disagio esistenziale e/o relazionale al medesimo.
La derivazione del termine counseling (o counselling – con la doppia elle – secondo l’inglese britannico) può essere fatta risalire al verbo latino consulo-ĕre che si traduce in “consolare”, “confortare”, anche nell’accezione di “venire in aiuto”, “avere cura”.
Omologo è anche un altro verbo latino: consulto-are nella sua accezione di “richiedere il parere di un saggio”.
Si può essere più dettagliati? Sì. Esiste anche la definizione di un organo ufficiale Assocounseling, eccola qui.
Il counseling è una professione di aiuto, il cui obiettivo è il miglioramento della qualità di vita del cliente, sostenendo i suoi punti di forza e le sue capacità di autodeterminazione. Il counseling offre uno spazio di ascolto e di riflessione, nel quale esplorare difficoltà relative a processi evolutivi, fasi di transizione e stati di crisi della persona. Lo scopo è riconoscere le emozioni provate nel qui ed ora, per poter integrare i vari “toni dei colori emozionali”, e rinforzare così capacità di scelta o di cambiamento. L’intervento del counselor si rivolge al vissuto presente. Il counselor indaga assieme al cliente la problematica insorgente che provoca sofferenza. Attraverso varie metodologie, mutuate da diversi ordinamenti teorici. Il counseling si rivolge al singolo, alle famiglie, a gruppi ed istituzioni. Può essere erogato in diversi ambiti: privato, sociale, scolastico, sanitario, azienda.”
Possiamo aggiungere per completezza d’informazione che il Counseling è una professione intellettuale svolta ai sensi della Legge n. 4 del 14 gennaio 2013 e che non rientra nelle professioni mediche. Ciò significa che non c’è un corso di laurea uguale per tutti come materie di studio, né un ordine cui essere annoverati. Esistono però delle associazioni di categoria che hanno il compito di valutare la formazione e garantire il continuo aggiornamento dei propri iscritti. Questo consente al fruitore del counseling la possibilità di poter scegliere un professionista la cui preparazione sia valutata costantemente.
Io personalmente ho scelto Assocounseling. La mia scelta è stata motivata dalla serietà di questa associazione di categoria che obbliga i suoi iscritti a costante aggiornamento, dalla grande professionalità dell’ordine direttivo che gestisce i rapporti con i rappresentanti del governo, o con altre categorie di professionisti, dalla organizzazione interna che spazia dalla possibilità di consulenza in campo legale e assicurativa, alla possibilità di confronto con altri professionisti accreditati dalle medesime competenze. Ma andiamo oltre questo aspetto formale.
Con che cosa lavora un counselor?
Con le emozioni nel qui ed ora. Favorendo al cliente, attraverso domande ed esercizi, la possibilità di entrare in confidenza sempre maggiore con il proprio campo emotivo. Ri-aprire il dialogo tra la parte emozionale e la parte ragionativa/cognitiva permette al cliente del counselor di ri-trovare l’equilibrio perso.
Consente inoltre di entrare in totale confidenza con le emozioni sia nella loro accezione positiva che in quella negativa. Il cliente riaccendendo il dialogo tre le varie parti di sé recupera la propria interezza.
Il counseling insomma indaga la motivazione che attiene alla problematica senza indicare la via alla soluzione della medesima. Sostiene il cliente ad attivare le proprie risorse personali, che così diventano uno strumento adattabile ad altre eventuali e future problematiche.
Le caratteristiche del counselor
Il counselor sviluppa e coltiva delle capacità che sono proprie di ogni individuo, e si esercita ad esperirle sino a farle diventare parte attiva del suo modo di vivere:
Il feedback significa letteralmente retro-azione e del quale fornisco la definizione propria del linguaggio scientifico e tecnico, ossia, “processo per cui il risultato dell’azione di un sistema si riflette sul sistema stesso”. In altre parole, esprimere un feedback serve per esplicitare al nostro interlocutore una opinione che sia priva di giudizio “è giusto, è sbagliato, è bello, è brutto”.
Il giudizio manifesta esclusivamente il nostro grado di piacimento, la nostra soddisfazione. E se non richiesto espressamente scatena in chi lo riceve reazioni di rabbia e scontento, oppure in caso di lode sopraggiunge una reazione di gioia ma senza possibilità per l’interlocutore di altra elaborazione. Il giudizio si riferisce a chi lo esprime e non tiene conto di molte altre variabili.
Il feedback invece è la manifestazione da parte di chi lo esprime di un’osservazione del fatto in esame che tenga conto della maggior parte delle variabili possibili.
Ecco una sorta di vademecum che ho appreso nella scuola di counseling che mi ha formata Artemisa
Comprendere e memorizzare questi concetti potrebbe sembrare semplice e veloce, ma il percorso di studi del counselor è triennale. A parte la teoria, che costituisce il terreno su cui si muove il counselor e che crea il linguaggio con cui opera il professionista definendone l’ambito di competenza, l’esperienzialità costituisce l’ossatura della formazione del counselor. La sola teoria costituirebbe unicamente un bagaglio culturale meraviglioso in termini di conoscenza, unitamente all’esperienzialità crea un binomio fortissimo che consegna al counselor gli “strumenti di lavoro”.
La prima persona sulla quale si sperimentano “gli strumenti” del counseling, e via via le tecniche che si imparano durante la formazione è proprio sé stessi. Per poter lavorare con gli altri prima occorre aver sperimentato in prima persona. Durante il triennio la formazione prevede tirocini in sede scolastica e fuori sede, proprio per mettere in pratica ciò che si è studiato ed appreso teoricamente, in ambito protetto, poi quando si è pronti per esercitare si inizia il proprio cammino professionale. Insomma è come diventare un ottimo cuoco, non basta conoscere tutti gli ingredienti, bisogna anche mettere le mani in pasta e “fare” per poter mangiare.
Due Strumenti del counselor che possono migliorare la nostra vita
Tra gli strumenti del counselor voglio accennarne due particolarmente conosciuti, la cui presenza nella nostra vita può influire positivamente:
L’ascolto
Udire, ascoltare e ascoltare attivamente sono tre modalità diverse per entrare in relazione col mondo intorno a noi e ci richiedono livelli differenti di coinvolgimento.
Per differenziare questi tre modi possiamo pensare che si dice “udire una sirena o il rintocco delle campane”, quasi si trattasse di accorgersi di un suono.
Ascoltare significa prestare attenzione: ascolto la lezione del professore, ascolto il testo di una canzone, ascolto le parole della risposta del signore cui ho chiesto indicazioni stradali. Non è richiesto un coinvolgimento emotivo o una partecipazione, ma la comprensione dell’informazione.
L’ascolto attivo richiede invece di mettere in campo tutta la sensibilità, l’attenzione, la comprensione, l’intelligenza, l’empatia di cui siamo capaci.
Saper osservare l’interlocutore, percependo il suo linguaggio non verbale, la sua mimica, il suo tono di voce, i suoi modi di dire, le sue inflessioni, le sue pause, favorisce la concentrazione e quindi anche il sistema di ascolto. Un altro elemento fondamentale che favorisce l’ascolto attivo è la capacità di fare domande aperte o alternative o di verifica o di chiarimento. In questo modo si entra in empatia e non in simpatia con l’interlocutore.
Empatia e simpatia
Empatia e simpatia sono due termini profondamente differenti. La simpatia ci porta ad immedesimarci nell’altro anche se non stiamo provando nel nostro vissuto la stessa emozione. Per fare un esempio acustico diventiamo come un corpo che sollecitato dalle vibrazioni di un corpo vicino, vibra a sua volta.
La simpatia per quanto immediata e spontanea, non favorisce l’ascolto attivo perché porta a mescolare i propri confini con quelli dell’altro ed anche a “dare ragione” all’altro senza offrire all’interlocutore un punto di vista personale che possa aiutarlo ad uscire da un momento di difficoltà.
L’empatia è l’abilità di percepire e sentire direttamente le emozioni di un’altra persona così come lei le sente, indipendentemente dal condividere la sua visione delle cose o l’esperienza che sta vivendo. Il significato etimologico del termine è “sentire dentro”, una sorta di capacità di “mettersi nei panni dell’altro”. Riconoscere le emozioni dell’altro consente l’ascolto attivo e permette un modo di comunicare nel quale il ricevente mette in secondo piano il suo modo di percepire la realtà per cercare di far risaltare in sé stesso le esperienze e le percezioni dell’interlocutore. Ciò facilita la comunicazione e lo scambio profondo.
Una carrellata per entrare in confidenza, per stimolare la curiosità, per creare lo spazio di un dialogo.
Voglio mettere a disposizione la mia professionalità per aiutare chi come me in un momento di difficoltà si è rivolto ad una counselor, ed ha scoperto un mondo ed un modo di vivere che le ha permesso di migliorare la qualità della sua vita.