Che differenza c’è tra counselor, coach, psicologo e psichiatra?
03/07/2020Le emozioni: breve viaggio attraverso questo magico mondo (parte 2)
09/10/2020Le emozioni: breve viaggio attraverso questo magico mondo (parte 1)
All’interno del mio percorso lavorativo vengo in contatto con le emozioni dei miei clienti. Per questo ho deciso di dedicare due articoli del mio blog a questo concetto.
Emozione: l’origine della parola
La parola emozione deriva dal francese émotion, derivato a sua volta dal latino “e-movere”, ossia movere=che si muove/che si mette in movimento/che si agita o che scuote, preceduto dalla particella e (ex)=moto da luogo che indica l’uscita da un luogo chiuso. La parola contiene nella sua radice l’idea di qualcosa che emerge da dentro, che si mette in movimento che agita e che si agita provocando un moto. Come il propagarsi di un’onda, il cui affetto è quello di trasformare col suo passaggio l’oggetto in cui passa.
Dopo aver cercato l’etimologia di questo termine mi piace leggerne la definizione che offre il vocabolario.
Impressione viva, turbamento, eccitazione. In psicologia, il termine indica genericamente una reazione complessa di cui entrano a far parte variazioni fisiologiche a partire da uno stato omeostatico di base ed esperienze soggettive variamente definibili, solitamente accompagnata da comportamenti mimici.
Dal vocabolario Treccani
In termini evolutivi la loro principale funzione è quella di rendere più efficace la reazione dell’individuo a situazioni in cui si rende necessaria una risposta immediata ai fini della sopravvivenza, reazione che non usi processi cognitivi ed elaborazione cosciente. Le emozioni rivestono 2 funzioni:
- “relazionale”, comunicano agli altri le nostre reazioni psicofisiche;
- “autoregolativa” comprensione delle proprie variazioni psicofisiche.
Esse sono contraddistinte da due importanti caratteristiche:
- “sono temporanee” (hanno un inizio ed una fine, ed il processo di inizio e fine è un processo rapidissimo)
- “hanno varia intensità” (mano a mano che cambia l’emozione cambia il termine utilizzato per identificarle.)
Attraverso la storia delle emozioni
Anticamente non si usava la parola “emozione/i” per descrivere quello che si provava, ma venivano usati altri nomi: “passioni, accidenti dell’anima, sentimenti morali”. Oppure c’era la teoria della “medicina umorale” di Ippocrate secondo cui i quattro umori presenti nel corpo: sangue, bile gialla, bile nera e flemma, davano forma alla personalità ed agli stati d’animo delle persone. Ad esempio, un eccesso di sangue nelle vene rendeva il soggetto in questione potenzialmente irascibile e/o coraggioso. Lo spostarsi dal cuore agli arti di quel sangue in eccesso rendeva la persona pronta a sferrare l’attacco, cioè a reagire.
Per ritrovare il concetto di emozione come lo intendiamo oggi possiamo andare indietro fino al alla metà del Seicento, con la nascita della scienza empirica. Thomas Willis medico anatomista e patologo, per primo, ipotizzò che le emozioni non fossero l’effetto di vapori o liquidi emanati dal corpo, ma che il responsabile delle medesime fosse il sottile reticolo del sistema nervoso al centro del quale c’è il cervello. Un secolo dopo venne escluso che per provare le emozioni occorressero sostanze immateriali come l’anima o lo spirito che fungevano in quest’ottica da miccia delle medesime.
Bisogna arrivare al filosofo Thomas Brown nel ‘700 per convenire che la sensazione fisica (ad esempio fremere di piacere o il tremore delle ginocchia di fronte al pericolo) sia una questione meccanica e non un atto volontario.
Egli suggerì di trovare un nuovo nome e propose la parola “emozione”. Questo termine, di per sé impreciso, che genericamente suggerisce l’idea di un movimento che da dentro si propaga verso il fuori, promulgò un nuovo metodo di osservazione che prevedeva l’osservazione di viventi e non più solo cadaveri. In quanto per osservare l’emozione occorreva guardare la reazione di una persona: stringere I denti, arrossire, balbettare, sudare, lacrimare, sbarrare gli occhi…
Anche Charles Darwin si dedicava alle emozioni su due fronti differenti ma complementari. Da un lato mandava esploratori in tutto il mondo per scoprire come le popolazioni vivessero lutti, unioni, eccitazioni; dall’altro su se stesso conduceva esperimenti per scoprire quali muscoli utilizzava quando viveva le emozioni. La nascita della psicologia ha contribuito all’osservazione dei moti umani, del loro svolgersi e del loro intersecarsi.
Fino ad arrivare a David Goleman nel suo libro “Intelligenza emotiva” che offre un’approfondita disamina sulle emozioni e sull’importanza dell’intelligenza emotiva. Libro del 1995, ancora molto attuale e che consente di avere un buon punto di partenza per chi ha interesse a spingersi verso il campo delle neuroscienze e delle immagini cerebrali.
Dov’è la sede delle emozioni?
Il cervello è diviso in tre parti che indicano mondi differenti:
neopallium o cervello superiore, paleopallium o cervello intermedio, archipallium o cervello primitivo.
- Neopallium costituito dalla corteccia cerebrale, esclusivo dei primati. La corteccia cerebrale è la sede del pensiero razionale.
- Paleopallium costituito dal sistema limbico, proprio di tutti I mammiferi. Il sistema limbico è la sede delle emozioni.
- Archipallium costituito dal cervelletto e dal tronco dell’encefalo e derivato dai rettili. Cervelletto e tronco sono la sede degli istinti.
Se vi chiedessi a quale dei tre cervelli affidereste operazioni di vitale importanza a cui non pensare più una volta innescate a quale fareste affidamento?
Il primo è il meno sicuro perché si affida alla ragione, ossia interpreta.
Il secondo anch’esso non è sicuro perché è volubile, ossia è in continuo mutamento.
Il terzo è il più sicuro perché è la sede delle nostre automazioni. Risponde sempre nello stesso modo mentre gli altri fanno i loro giochi. Respirazione, battere del cuore, postura sono comandate da questa parte del cervello che è proprio di tutti gli esseri viventi. Ecco qual è la risposta giusta!
Intelligenza logica ed intelligenza emotiva
L’emozione di per sé non sarebbe diventata così importante anche in campo scientifico nell’epoca moderna, se non fosse stata collegata al termine intelligenza. Anche in questo caso partiamo dalle origini.
L’intelligenza è una parola che deriva dal latino “intelligere=capire”, che deriva a sua volta dal verbo “legere=leggere” per qualche filologo in contrazione con l’avverbio “intus=dentro” per altri in contrazione con la preposizione “inter=fra”. Perciò potremmo riassumere il suo significato come “Leggere dentro, ossia oltre la superficie, oppure leggere tra le righe, ossia saper stabilire connessioni tra gli elementi.
L’intelligenza è lo strumento che migliora la capacità umana di adattamento all’ambiente.
L’intelligenza logica
È quella che si affida alla ragione. La ragione è l’attività di gestione dei mezzi per arrivare ad uno scopo. Risponde a delle domande precise: chi/quando/come/ perché/dove/in che modo. È insomma un meccanismo che si serve di mezzi per arrivare ad uno scopo.
La ragione dispone di ciò che c’è già, non è creativa.
Serve per svolgere numerose attività: organizzarsi, parcheggiare, arrivare in orario, fare una tabella, fare la lista della spesa. Non fa scoprire che cosa mi piace, mi ricorda però che cosa ho mangiato, il grado di piacimento, se mi ha fatto male…. Se le fornisco I’elenco dei cibi per fare la dieta mi fornisce la tabella dei pasti migliori possibili in base alle indicazioni da me fornite.
Che cosa fa allora? Elabora. Che cosa? Dati. Imputati da chi? Da me. Dove prendo io i dati? Da ciò che conosco, da ciò che ho studiato, dalle mie presupposizioni che sia un introietto familiare, un condizionamento, o sociale o religioso, una convinzione, un’abitudine….
L’intelligenza emotiva
È fondamentale per l’individuo perché comprendere le proprie emozioni ed intuire che cosa provano gli altri è un fattore adattivo fondamentale. La capacità di comprendere ed accompagnare le proprie emozioni permette la gestione dei propri sentimenti e di quelli altrui allo scopo di raggiungere degli obiettivi. Da qui derivano la capacità motivazionale, la resilienza, il saper controllare i toni dell’umore e dello stato d’animo.
Goleman, lo psicologo che ha coniato questo termine nel 1995 con il suo libro “Intelligenza Emotiva”, identifica 5 caratteristiche fondamentali:
- “consapevolezza di sé”: la capacità di produrre risultati riconoscendo le proprie emozioni cioè l’ottimizzazione del processo di comprensione del meccanismo di cui sopra
- “gestione o dominio di sé”: la capacità di gestire i propri sentimenti verso un fine. Capacità di osservare e saper distinguere percezione =emozione; sensazione/ sentimento =pensiero; corpo = corpo
- “motivazione di se stessi e degli altri”: la gestione di sé applicata agli altri
- “comprensione degli altri”: scoprire il vero motivo che ci fa andare verso qualcosa oppure che ci fa rifiutare qualcosa. Empatia
- “gestione degli altri”: possibilità di stare con gli altri capendo i movimenti che accadono tra le persone.
Come funzioniamo
Noi abbiamo un emisfero sinistro razionale, quello della logica, ed un emisfero destro emozionale. Le due parti dialogano alla ricerca di un equilibrio.
L’intelligenza emotiva permette di gestire le emozioni passando dalla percezione del cervello limbico, il paleopallum, alla consapevolezza corticale, cioè il neopallum ossia il pensiero logico.
Tutte le nostre percezioni si traduco in segnali chiari nel nostro corpo prendiamo ad esempio la paura, percepiamo un rumore forte, il sistema limbico manda un segnale a cuore e gambe, il cuore accelera il suo battito e pompa sangue che va alle estremità, siamo pronti per difenderci, attacco/fuga o mimetismo; il neopallum è disattivato, è questione di poche frazioni di secondo,; il sistema limbico si disattiva e riprende le redini il sistema corticale, il neopallum, la logica, che ragiona analizza tutti gli altri ruoli simili e poi sceglie quello più simile “era solo il vento”.
Perciò è tanto importante l’intelligenza emotiva, perché ci permette di gestire le emozioni passando dalla percezione limbica alla consapevolezza corticale.
La consapevolezza è la conoscenza del nostro agito che avrà ripercussioni sul nostro presente e sul nostro futuro.
Perché? Portare da sistema limbico a consapevolezza corticale senza repressione, ma contenendole, permette di entrare in confidenza con le emozioni senza subirle. E quando la ragione andrà a ripescare i nostri agiti rispetto ad esse nel suo data base, li troverà ben codificati perciò il sistema dialogherà senza problemi, altrimenti saremo schiavi delle nostre emozioni.
Per continuare il viaggio nelle emozioni, proseguiremo nelle prossime settimane per capire come riconoscerle e viverle al meglio.
Foto di Robert Katzki su Unsplash