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21/02/2023E se la felicità fosse un sensore?
Fin da bambina mi hanno invitata a cercare la serenità per non perdermi nella ricerca della felicità mera ed illusoria.
Ho fatto mio questo insegnamento, è diventato una credenza e sono diventata una ragazza mediamente triste che negava l’esistenza della felicità e sperava in un futuro sereno, o almeno un po di pace per placare il suo dolore.
Questo ricordo l’ho ripescato mentre ascoltavo una conferenza di Igor Sibaldi, che ringrazio per avermi offerto spunti interessantissimi e di grande valore, non solo intellettuali, ma anche pratici.
Ascoltandolo parlare mi rendevo conto che felicità e serenità sono proprio due concetti molto distanti tra loro.
Il concetto di serenità
La serenità viene definita dal vocabolario “assenza di turbamento, pacata tranquillità, calma, condizione interiore relativamente stabile che si percepisce come un equilibrio che è stato raggiunto attraverso la maturazione e le esperienze della vita“. I modi di dire possono tornare utili per verificarlo infatti si dice “il cielo torna sereno dopo la tempesta” e non torna felice.
La serenità perciò è qualcosa a cui tornare, qualcosa di noto, magari dimenticato, ma che si può ri-acquisire. È un ri-torno ad una condizione sperimentata nel passato. È come indossare un vecchio maglione che ci fa sentire il calore di casa.
Il concetto di felicità
La parola felice di derivazione dal latino felix -īcis, dalla stessa radice di fecundus, quindi propr. «fertile» viene indicato dal vocabolario come persona che si sente pienamente soddisfatto nei propri desideri.
Il vocabolario definisce la felicità come “compiuta esperienza di ogni appagamento“.
Che cosa ci appaga? Ogni volta una cosa diversa. Infatti ciò che può rendere appagati è differente rispetto alle situazioni che si vivono, ad esempio un bicchiere d’acqua fresca nella calura dell’estate, una sciarpa morbida e calda durante una passeggiata in un autunno ventoso. Quindi non sto tornando a qualcosa di rassicurante e noto, ma sto scoprendo che cosa soddisfa il mio appagamento in quel preciso momento che mi rende felice.
Come posso riconoscere quel momento di appagamento/felicita? È il momento del sorriso spontaneo, dura un lampo e ci proietta in avanti, non indietro.
Certo che sono proprio agli antipodi la felicità e la serenità.
Felicità e serenità agli antipodi
Non c’è bisogno di ritenere una giusta e l’altra sbagliata. Perché sono due strumenti di conoscenza di se diversi.
Se ho bisogno di tornare a casa, abbraccerò la serenità, ma se ho desiderio di qualcosa sperimenterò la felicità. È come chiedersi se sia meglio la bicletta o l’aereo? Dipende!
Per cui azzerare l’una per ampliare a dismisura l’importanza dell’altra è foriero di disequilibrio e sofferenza. La pacatezza della serenità non sostiene la potenza della felicità. Perché la serenità è spaventata dalle novità, dallo spirito dell’eccitazione della felicità, si trova a suo agio quando riconosce una situazione e la ripristina.
Ad esempio dopo una sfuriata quando ritorna la serenità facciamo attenzione a che cosa capita: il cuore smette di battere all’impazzata, il volto torna roseo, la voce si calma, la temperatura si assesta, ci si rassetta i vestiti, ci si accomoda i capelli, si rientra nello stato di normalità e quiete …
La felicità invece ci fa apparire un sorriso spontaneo sul volto quando incontriamo ciò che ci piace, che siano cose o persone. E che cosa ci fa? Esattamente il contrario della serenità: ci spettina, ci fa accelerare il battito, ci scompiglia in vestiti, ci fa esprimere con intensità, e godere con piacere.
È l’espressione del Dio Eros di provare piacere con tutti i sensi nell’incontro con il mondo.
Come i bambini che guardano, toccano, odorano, mangiano, annusano, vivono attraverso la percezione di Eros, attraverso la fusione totale con il piacere che da loro la scoperta e l’esperienza delle cose della vita. Non c’è nulla che si quieta, tutto prende vita, si agita, si accende, si manifesta nella sua potenza espressiva…
La felicità come sensore di ciò che piace
E se pensassimo alla felicità come un sensore per ciò che ci piace? Come se fosse una funzione dell’uomo atta a scoprire e vivere ciò che piace?
Se non entriamo in contatto con ciò che ci piace perché coperto dalla pesante coperta del pudore o peggio della vergogna, perdiamo la nostra libertà.
Perché la parola latina libertas = libertà ha la stessa radice della parola latina libet = piacere. Per cui asserire che ciò che piace ci rende liberi non è campato in aria, anzi è importantissimo saperlo.
La nostra lingua –> perciò il nostro vocabolario –> di conseguenza il modo in cui ci raccontiamo, –> ossia il nostro modo di vivere deriva da come ci parliamo e se togliamo la parola felicità dal nostro vocabolario non perdiamo soltanto una parola, ma la possibilità di vivere l’esperienza che essa porta con sé.
Escludere il concetto di felicità, come ho fatto io per tanti anni, significa anche depotenziare il valore della serenità, che non nasce per offrire l’estasi del Dio Eros, insito nella felicità, ma per riportare calma e tranquillità dopo una tempesta.
Mi sono accorta durante i miei percorsi che avere la serenità come unico riferimento, mi ha esposto ad un sacco di turbolenze. Già, perché se non sai ciò che ti piace, ti accontenti di altro, di qualcosa che rassomiglia al piacere, ma non lo è. Ti fai bastare di ciò che credi o ti hanno fatto credere che dovrebbe piacerti. Chi? Le istituzioni, la religione, la famiglia, la scuola, gli amici, gli altri insomma. Ma non sarai felice, e darai luogo a malumori, rabbie, senso di frustrazione…. che verrano placati dal sopraggiungere dell’agognata serenità pompiere di incendio appiccato da te stesso.
Povera serenità quanta responsabilità per una parola così garbata, moderata e tranquilla, ma che non nasce per sostituirsi alla felicità.
C’è anche un altra implicazione. Se non sai ciò che ti piace , non lo desideri e se non lo desideri non si avvererà, perché non creerai le condizioni per cui si possa manifestare.
Non si tratta della moda del pensiero positivo come panacea per ogni male, ma di non aprire la porta all’incontro con ciò che ci piace e che ci renderebbe felici, perché non sappiamo che cosa sia.
Saperlo non renderebbe tutto facile, ma ci permetterebbe di evitare numerose esperienze non in linea con il nostro vero io. Inciampi ne avremo, ma saranno conquiste da includere nel nostro bagaglio e non fatiche che si riproporranno costantemente.
Scoprire ciò che piace ci renderà liberi e libere.
Incominciamo il viaggio sarà un gioco bellissimo.
Non sai come iniziare? Chiedimi di fare un pezzo di strada con te,
con i miei trattamenti!
Foto di Stefan Schweihofer da Pixabay