Cosa blocca l’avverarsi dei nostri desideri?
15/01/2025Alla ricerca dell’equilibrio tra movimento verticale e movimento orizzontale
Quando si descrive la difficoltà di non riuscire a uscire da una situazione che si reitera continuamente, come in quei film dove si rivive sempre la stessa situazione, ci si rifà a un’immagine che è quella del criceto che corre nella ruota. Spezzare quel movimento impazzito è possibile grazie all’osservazione di sé. Infatti soltanto se me ne accorgo posso iniziare a cambiare la situazione: soltanto se una parte di me osserva la sua stessa figurina umana correre nella ruota senza una meta precisa è possibile iniziare un nuovo movimento.
La fuga nel movimento orizzontale
Prima di rimetterci in moto, appena scesi dalla ruota del criceto, osserviamo quale tipo di movimento ci verrebbe spontaneo fare. Forse, anche per mettere distanza tra noi e quella ruota, ossia dal loop che abbiamo vissuto, ci verrebbe spontaneo iniziare a correre via con un movimento orizzontale.
Nell’illusione spazio-temporale che siamo abituati a vivere siamo portati a pensare che compiremo finalmente la “vera crescita evolutiva” soltanto spostandoci e andando verso nuove tecniche, nuove religioni, nuovi modi di alimentarci, nuovi modi di parlare, un nuovo lavoro, nuovi amici, un nuovo amore, nuovi riti, nuove abitudini…Col passare del tempo ci si potrà accorgere che pur avendo sostituito amici, cambiato lavoro, iniziato a professare nuovi credo, modificato gusti musicali o cinematografici, pur avendo deciso di leggere almeno un libro al mese, pur avendo iniziato a praticare il tantra o lo yoga il disagio è sempre lì con noi.
E quando ci accorgiamo di stare male ci accusiamo di non essere abbastanza bravi, solleciti, preparati, studiosi, sinceri, dediti, volenterosi, e nel frattempo il disagio diventa senso di colpa. Allora iniziamo a credere di dover ancora o di nuovo cambiare qualcosa, di dover trovare un nuovo strumento da inserire nella nostra pratica quotidiana. Così la nostra marcia forzata ricomincia. E in men che non si dica eccoci di nuovo nella ruota del criceto. È come se avessimo una lucina appesa a un bastone fissato sul nostro cappello e camminassimo con l’intento di raggiungerla perché crediamo che una volta raggiunta, allora e soltanto allora troveremo la soluzione a tutti i problemi della nostra esistenza.
Tutto ciò che accade nel lasso di tempo, cioè il movimento orizzontale, è finto se non è accompagnato da un movimento verticale, ossia da un lavoro in presenza.
La linea verticale della presenza
La presenza, la costruzione dell’osservatore esterno, la verticalità dello stare ci permettono di uscire dalla rappresentazione teatrale dei nostri drammi. Scendere dentro di noi alla ricerca della causa del del nostro disagio ci permetterà di integrarlo nella nostra esistenza, smettendo di re-agire sempre allo stesso modo di fronte alle difficoltà che potremo incontrare nella vita.
Ciò non significa che il movimento orizzontale e tutto ciò che esso comporta siano da scartare. Se gli strumenti che possiamo trovare col movimento orizzontale ci possono aiutare a rallentare il ritmo ben vengano. Ma il solo movimento orizzontale è del tutto vano se non c’è il movimento verticale. Sarà il movimento verticale a farci accorgere che la causa del disagio non sono i problemi che si ripetono sempre uguali, ma l’incapacità di sentire ciò che sta accadendo dentro di noi quando si presentano quei problemi.
Riconoscere le emozioni celate che provengono dall’infanzia
Gli accadimenti esterni possono apparirci differenti, ma a ben guardare in realtà tutti noi stiamo riproponendo un modello che si è impresso nel nostro corpo emotivo fin dall’infanzia e che abbiamo spostato nell’inconscio perché troppo doloroso: le emozioni che proviamo sono sempre le stesse tre o quattro con le quali stiamo facendo i conti fin dalle nostre prime esperienze di vita, quando eravamo piccolissimi. Accorgercene non ci farà smettere di soffrire, ma ne saremo consapevoli grazie all’osservatore esterno: solo così potremo smettere di inscenare il dramma della re-azione e vivere l’emozione che stiamo provando nella sua interezza, qualunque essa sia.
In questo modo ad esempio il solito scoppio d’ira – che ritengo sia un mio inevitabile modo di manifestarmi – potrà lasciare il posto all’emozione celata, qualunque essa sia. Il riconoscimento di quell’emozione celata metterà in contatto l’osservatore esterno con la parte di me che l’ha provata nell’infanzia e che non è riuscita a integrarla. Quel riconoscimento porterà un grande beneficio psico-fisico-emotivo e permetterà che alla prossima occasione si ripresenti la possibilità di rivivere quell’emozione celata con un riconoscimento più immediato. Forse non mi eviterà di provare dolore, ma mi suggerirà quale strada percorrere per evitare la meccanicità della risposta re-attiva.
L’articolo prende ispirazione da:
Come liberarsi dalla manipolazione, di Salvatore Brizzi, Anima edizioni